Di recente è entrato in vigore (2 marzo 2017) il Decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare 13 ottobre 2016, n. 264, relativo ai criteri indicativi dei requisiti per qualificare i residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti. Nelle premesse ci si riferisce chiaramente all’importanza della «dissociazione della crescita economica dalla produzione di rifiuti» come fattore chiave per l’innovazione tecnologica finalizzata al riutilizzo di residui di produzione, la riduzione del consumo di materie prime vergini e la diminuzione della produzione dei rifiuti.
Il legislatore, con questo decreto, si è voluto soffermare ed individuare “alcune modalità” con le quali è possibile dimostrare che le condizioni generali dell’art. 184-bis del D. lgs 152/06 e s.m.i. siano soddisfatte e agevolare l’utilizzo di sottoprodotti.
Come viene anche ribadito dalla nota esplicativa del Ministero dell’Ambiente, la possibilità di gestire un residuo come sottoprodotto non dipende esclusivamente dai criteri proposti nel Decreto 264/2016; tuttavia resta fermo l’obbligo di rispettare i requisiti di impiego e di qualità previsti dalle pertinenti normative di settore.
Pertanto emerge una natura particolare del decreto stesso che si presenta come decreto in parte “facoltativo” che vuole presentare delle modalità con cui provare la sussistenza dei requisiti richiesti per la definizione di sottoprodotto, ai sensi dell’art. 184-bis del D.lgs 152/06.
Sono da ritenersi sottoprodotti ai sensi dell’Art. 184-bis le sostanze o gli oggetti che soddisfano tutte le seguenti condizioni:
- la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
- è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
- la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
- l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
Le principali novità introdotte dal Decreto 264/2016 sono nell’introduzione di una piattaforma di scambio tra domanda e offerta (art. 10) la cui adesione non è né obbligatoria né sufficiente a qualificare un residuo come sottoprodotto. Tale piattaforma ha lo scopo di facilitare gli scambi tra produttori e gli utilizzatori; sarà compito delle Camere di commercio territorialmente competenti istituire la scrivania telematica. Si prevede che il servizio sarà, presumibilmente, operativo dalla seconda metà di agosto.
La definizione di certezza dell’impiego (art. 5), che può essere presunta tale se l’utilizzo avviene nello stesso ciclo di produzione. Se invece l’utilizzo avviene in un diverso ciclo si può dimostrare la certezza di utilizzo attraverso l’esistenza di rapporti o impegni contrattuali oppure attraverso le schede tecniche. Risulta interessante la definizione delle condizioni di cessione (art. 5 c. 4) che devono risultare “vantaggiose e assicurare la produzione di una utilità economica” o di “altro tipo”; proprio con queste ultime parole il decreto ribadisce la volontà di favorire il recupero e l’utilizzo dei sottoprodotti esplicitando le potenziali esternalità positive non legate necessariamente ad ambiti strettamente economici. Da ultimo la scheda tecnica che prevede una serie requisiti obbligatori (all. 2) tra cui anche il tempo massimo previsto per il deposito a partire dalla produzione fino all’impiego definitivo. La scheda tecnica va numerata, vidimata e gestita secondo la normativa sui registri IVA; le Camere di commercio possono procedere alla vidimazione delle schede tecniche con le medesime modalità per i registri di carico e scarico di cui all’art. 190 del D.lgs 156/06 e s.m.i.
La definizione delle attività che rientrano nella “Normale Pratica Industriale”; all’art. 6 c. 2 del D. 264/2016 viene espressamente specificato che tutte le attività e operazioni, anche se progettate e realizzate al fine di consentire l’uso specifico, che costituiscono parte integrante del ciclo di produzione sono considerate NPI. Se tali attività vengono svolte in un ciclo di produzione differente non possono essere più rientrare nella NPI.
Come quarto e ultimo punto, il Decreto 264/2016, all’art.7 si riferisce all’art. 184-bis, c. 1, lett. D) specificando che tale condizione sarà soddisfatta attraverso la scheda tecnica e la dichiarazione di conformità; senza fornire una vera e propria definizione di cosa debba intendersi per “utilizzo legale” e di “impatti negativi”.