Il termine “Green economy” è stato coniato ancora nel 1989 in un rapporto d’avanguardia per il governo del Regno Unito, svolto da un gruppo di economisti ambientali. Per definizione:
“Un’Economia è Green se porta ad un miglioramento del benessere umano e dell’equità sociale, riducendo in modo significativo i rischi ambientali e i limiti ecologici legati allo sfruttamento delle risorse. Nella sua espressione più semplice, la Green Economy si basa su una crescita fondata su basso contenuto di carbonio, uso efficiente delle risorse e politica socialmente inclusiva” (http://web.unep.org/).
Quando si parla di economia verde s’intende una visione alternativa della crescita e dello sviluppo, che comporta un’attenzione sostenibile ai progressi e ai miglioramenti nella vita delle persone. La Green Economy cerca di amalgamare i concetti di progressione economica, sostegno ambientale e benessere sociale. I modelli economici dell’ultimo secolo, che hanno come fine prevalente quello di aumentare il PIL di un paese, sopra ogni altro obiettivo, non hanno sempre giovato all’ecologia, all’economia, e al divario tra ricchi poveri. Viviamo in un mondo più inquinato, dove i costi di produzione sono significativamente alti e ci sono stati danni potenzialmente irreversibili anche sul piano sociale. La povertà persiste per ben due miliardi e mezzo di persone, le ricchezze naturali del pianeta stanno rapidamente svanendo, il divario tra ricchi e poveri è in aumento in più di due terzi dei paesi. La persistenza della povertà e il degrado ambientale possono essere ricondotte a una serie di fallimenti del mercato e istituzionali che rendono il modello economico dominante di gran lunga meno efficace di quello che potrebbe essere un modello di economia verde. Questo è dovuto ad una mancata riflessione e ad un lento progresso di idee e soluzioni di problemi da parte di economisti, produttori, politici, ma anche di consumatori. L’economia verde tenta di porre rimedio a questi problemi attraverso una varietà di riforme istituzionali e regolamentari, fiscali, e politiche. Fortunatamente negli ultimi anni i governi e le imprese stanno andando verso la via della sostenibilità, basti pensare ai meeting globali che si tengono ogni anno (COP), ai protocolli stilati (protocollo di Tokyo), e ai nuovi modi di progettare i prodotti (Life Cycle Thinking). Verosimilmente la svolta di pensiero è legata principalmente a due fenomeni avvenuti negli ultimi decenni, in primis tutti i problemi ambientali, che spaziano dal riscaldamento globale, allo scioglimento dei ghiacci, ai problemi legati all’inquinamento e allo sfruttamento delle risorse ( ormai in esaurimento), che hanno spinto verso un ripensamento del modello economico attuale. Il secondo fattore potrebbe essere la recessione globale e la crisi finanziaria, che ha obbligato tutti a mettersi in discussione dal punto di vista del valore del lavoro, delle risorse e dell’innovazione.
Oggi più che mai si è creata la necessità di nuove fonti di crescita che siano sostenibili sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista socio-economico. Fulcro fondamentale per sviluppare tali tematiche è un radicale cambio di visione: “Abbiamo bisogno di passare dal vedere la sostenibilità come un costo o un ostacolo per rendersi conto che si tratta di un fattore chiave di innovazione“, come disse Prahalad, un visionario sulla strategia aziendale.
Molti diffidano ancora della Green Economy, perché per metterla in atto inizialmente servono grandi sforzi ed investimenti. Nei mercati odierni, che sono caratterizzati da ritmi spasmodici e volubili, si tendono a preferire investimenti redditizi nel breve termine. Ciò può portare, soprattutto nelle piccole realtà produttive (e anche meno lungimiranti) a trascurare progetti impegnativi e con ricavi dilazionati nel tempo. Ad esempio, nella produzione di energia, il carbone costa significativamente di meno nel breve periodo rispetto ad un investimento sulle pale eoliche. Un investimento tale, però, non tiene conto di tutti i “costi” nascosti che vengono sostenuti da tutta la collettività (e non in modo diretto da chi produce) e si presentano solo dopo molto tempo, come ad esempio il riscaldamento globale o l’inquinamento dell’aria. Questo tipo d’investimenti viene gestito in modo differente da progetti “green”, come ad esempio le pale eoliche, e considera già in fase di progettazione tutti i costi reali (non solo economici, quindi anche sociali, ambientali, ecc..) di un progetto.
Un’altra critica posta alla Green Economy che è stata avanzata è l’imposizione di un “muro verde”; un’ulteriore barriera commerciale, tra i paesi ricchi e quelli poveri, tra chi può conciliare le esigenze economico/sociali ed ambientali e chi no.
La sfida principale sarà quella di accettare d’investire delle risorse che poi andranno a beneficio di più persone, dell’ambiente e dell’economia nel lungo termine. La transizione verso un’economia verde richiede un cambiamento fondamentale nel modo di pensare la crescita e lo sviluppo, la produzione di beni e servizi, e le abitudini dei consumatori. Si tratta di giocare ad una sensibilizzazione a più livelli:
- Sensibilizzare l’opinione pubblica verso il cambiamento: maggiore visibilità sulla necessità di questa transizione può motivare gli elettori e consumatori, non solo a causa dei costi, ma anche dei benefici economici generati da un Green Economy, come ad esempio nuovi posti di lavoro e nuovi mercati. Bisogna spingere le persone ad adottare queste politiche non solo perché sono “verdi”, ma perché credono che sia nel loro personale interesse investire in questa direzione.
- Promuovere nuovi indicatori che completano il PIL: le agenzie di pianificazione e i ministeri delle finanze dovrebbero adottare un insieme più variegato e rappresentativo di indicatori economici che non si concentrino esclusivamente sulla crescita del PIL, ma su una crescita e un progresso più ampio.
- Comunicare le scelte politiche e i risultati raggiunti alla società pubblica e civile: ciò contribuirebbe a garantire che le scelte e i cambiamenti attuati sono scelte responsabili anche nei confronti del pubblico e non solo delle parti più interessate. Tutto deve avvenire in modo trasparente e la comunicazione deve essere efficace.
Dalla Green alla Blue Economy
La Blue Economy rappresenta un’evoluzione della Green Economy e nasce per ottenere risultati più soddisfacenti dal punto di vista ambientale. L’idea è stata concettualizzata da Gunter Pauli, come un nuovo modello di business dedicato alla creazione di un ecosistema sostenibile grazie alla trasformazione di sostanze precedentemente sprecate in risorse di valore. Pauli pone le sue riflessioni nel sul libro: “The Blu Economy: 10 years, 100 Innovation, 100 Million Jobs”. Egli identifica e promuove un fenomeno che si traduce nella diffusione «a cascata» di nuova energia e nella «rottamazione» dei processi produttivi non sostenibili. I principi della Blue Economy sono molti e qui ne riportiamo solo alcuni (la lista completa è sul sito dedicato http://www.theblueeconomy.org/principles.html):
- la Blue Economy rispondere ai bisogni fondamentali di tutti con quello che si ha, l’introduzione di innovazioni viene ispirato alla natura (considerata perfetta e fonte ispiratrice);
- i rifiuti non esistono, qualsiasi sottoprodotto è la fonte di un nuovo prodotto;
- la natura si è evoluta da un paio di specie a una ricca biodiversità, per cui ricchezza significa diversità, e la standardizzazione industriale ne è l’esempio contrario.
- in natura avviene un costante cambiamento, le innovazioni devono quindi avvenire in ogni momento e luogo;
- la natura funziona solo con ciò che è localmente disponibile. Il business sostenibile si deve evolvere nel rispetto delle risorse locali, sia materiali che culturali;
- i sistemi naturali sono non lineari;
- in natura tutto è biodegradabile – è solo una questione di tempo;
- in natura un processo genera molteplici benefici;
- La natura è efficiente. Così il business sostenibile massimizza l’uso di materiale disponibile e di energia, che riduce il prezzo unitario per il consumatore.
Blogger: MR
Revisore: FN