La norma sui sacchetti che tanto fa discutere si riferisce all’articolo 9-bis della legge di conversione n. 123 del 3 agosto 2017 (il Decreto Legge Mezzogiorno) che stabilisce che «le borse di plastica non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti trasportati per il loro tramite». Per i supermercati che non rispetteranno la nuova norma sono previste multe dai 2.500 a 25.000 euro, con picchi di 10.000 in caso di «ingenti quantitativi» di buste fuorilegge. Anche per i consumatori non sembrano esserci vie di fuga, perché, per motivi igienici, non sarà possibile portare dei sacchetti personali da casa e non sarà possibile riutilizzare quelli già comprati. Il costo dei sacchetti, non ancora stabilito con esattezza da alcuni supermercati, potrebbe andare da 0,1 a 0,3 centesimi, e secondo l’Osservatorio di Assobioplastiche, il costo annuale dei sacchetti per una famiglia dovrebbe oscillare tra i 4,17 e i 12,51 euro. Questo calcolo ipotizza che in media si comprino 3 sacchetti ogni volta che si fa la spesa, e secondo i dati Gfk-Eurisko le famiglie fanno circa 139 spese all’anno. Il costo finale dei sacchetti dovrebbe essere quindi tra 4,17 e 12,51 euro. La legge è in vigore da 48 ore e le prime lamentele si fanno già sentire sui social, dove gli utenti stanno postando foto di frutta e verdura prezzata una ad una, piuttosto che comprare un sacchetto. Per ora il solo soggetto ad essere pienamente felice della nuova legge e l’azienda Novamont, l’unica azienda italiana che produce il materiale dei sacchetti bio e detiene l’80% di un mercato che, dopo la legge, fa gola: inizialmente i sacchetti saranno venduti in media a due centesimi l’uno. Le stime dicono che ne consumiamo ogni anno 20 miliardi. Potenzialmente dunque, è un business da 400 milioni di euro l’anno.
Perchè dobbiamo pagare i sacchetti della frutta?
I sacchetti tanto odiati, in realtà, hanno dei pregi non trascurabili, infatti hanno uno spessore della singola parete inferiore a 15 micron, sono biodegradabili e compostabili, certificati da enti appositi. Le caratteristiche di questi sacchetti e la norma di riferimento nascono dall’esigenza di diminuire la quantità di plastica presente sul pianeta. E questo non può che essere una buona cosa, ma gli italiani sono ancora divisi: chi sostiene che sia una scelta per la lotta all’inquinamento ambientale e al problema delle microplastiche nei nostri mari, e chi invece punta il dito contro la “tassa occulta” che dovremo pagare. Una voce è quella di Legambiente che sostiene che non è corretto parlare di caro-spesa: perché “l’innovazione – dichiara Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente – ha un prezzo ed è giusto che i bioshopper siano a pagamento, purché sia garantito un costo equo che si dovrebbe aggirare intorno ai 2/3 centesimi a busta”. È importante sottolineare che le buste biodegradabili potranno essere riutilizzate per la raccolta dell’umido. Se pensiamo che fin ora sono state acquistate presso il proprio Comune per un prezzo che oscilla fra i 10 e i 15 centesimi, se le si riutilizzassero ci potrebbe essere anche un risparmio. Ambientalisti e attenti osservatori ricordano però che sulle nuove buste, con cui trasporteremo ad esempio verdura o pane, ci sarà incollato l’etichetta con il prezzo, che non essendo compostabile, andrà accuratamente tolto. Un veloce sguardo al resto dell’Europa conferma che anche gli altri stati stanno andando in questa direzione, in Spagna, Francia e Grecia per esempio ci sono già delle tasse fisse sui sacchetti. Uno studio in Gran Bretagna conferma che la lotta ai sacchetti non biodegradabili ha portato a un drastico calo della presenza di buste sulle coste, circa il 40% in meno.
Quali alternative c’erano, o ci sono, ai sacchetti di plastica che tanto fanno discutere gli italiani?
Per alcune persone la norma entrata in vigore è stata un’occasione persa per ridurre veramente i rifiuti, si potevano totalmente togliere le buste a favore di altri metodi. Nelle Fiandre e in Svizzera, ad esempio, è possibile adoperare un sacchetto a rete realizzato in cellulosa, lavabile e riutilizzabile. I consumatori possono anche portare da casa un proprio contenitore per l’acquisto di articoli del reparto ortofrutticolo. L’importante è che sia trasparente e consenta di controllare il contenuto. Chi vuole boicottare questo sistema può anche considerare la possibilità di rivolgersi maggiormente al verduriere sotto casa o acquistare nei mercati, sostenendo cosi i piccoli agricoltori e la spesa a km0.